Arte e cura dell’anima nel cuore della steppa Anatolica
(dalla nostra corrispondente da Londra, Antonella Zangaro)
Ha 52 anni, è madre di due figli, è un’artista e una donna che si batte per i diritti delle donne nel suo paese, la Turchia. Vuslat Dogan Sabanci tiene per mano arte e filantropia abbracciando con passione un unico denominatore comune: “l’ascolto”. Generous Listening (ascolto generoso) è il filo conduttore dell’azione della fondazione Vuslat Foundation che da febbraio si sta occupando del supporto psicologico per le donne delle aree colpite dal violento terremoto che ha distrutto parte della Turchia lo scorso febbraio. “E’ una cultura che va promossa e insegnata sin dalla scuola – ci spiega – perché chi sa ascoltare se stesso sa ascoltare anche gli altri. Per questa ragione stiamo sviluppando strumenti pratici, con ricerche accademiche, sull’importanza dell’ascolto per creare consapevolezza”. Fa parte di questo progetto il sostegno alla presenza di Giuseppe Penone alla Biennale dell’architettura di Venezia del 2021 con l’opera “The Listener”. E parte da queste premesse anche la mostra personale di Vuslat Sabanci che, curata da Chus Martinez, a metà giugno è stata inaugurata nel museo più remoto che si possa immaginare: il Baksi Museum di Bayburt, su una collina nel cuore della steppa anatolica. (Premiato nel 2014 dal Consiglio d’Europa come il miglior museo al mondo). “The soul of Emanet” è il titolo della personale dell’artista che resterà allestita in quelle terre solitarie fino al prossimo 20 ottobre.
Emanet è l’ispirazione che ha generato opere uniche che vogliono risvegliare una attenzione perduta dal mondo contemporaneo: quella per la cura. Questa parola appartiene al vocabolario di gran parte del Medioriente, è pronunciata con sfumature diverse, ma è condivisa dal patrimonio linguistico greco, ebraico, persiano, arabo e turco. “E’ una nozione che lega tante culture tutte insieme” sottolinea Vuslat mentre ci accoglie nel museo dell’infinito realizzato in un’area brulla d’estate e innevata d’inverno. Il Baksi Museum non è una scelta casuale. Si trova a 40 chilometri da Bayburt, l’ultima città della parte est della Turchia anatolica prima di immergersi nella steppa popolata di orsi bruni, sciacalli, lupi e falchi. Pochi, davvero pochi gli uomini e i loro insediamenti. Questa è la terra delle origini della famiglia di Vuslat, questo è una delle tappe della via della Seta percorsa da Marco Polo che qui era di casa; questo è il luogo delle leggende e delle antiche civiltà turche, armene, greche, siriane che vi hanno coabitato. “Venire fino qui – racconta Vuslat – significa fare una scelta precisa; significa dedicarsi del tempo per un vero pellegrinaggio artistico”.
Nella mostra ci sono linguaggi e materiali diversi: testi, sculture, disegni e installazioni per esplorare tutte le manifestazioni del concetto di Emanet, del prendersi cura. Di sè, della vita, di ciò che ci è stato trasmesso ma che non possediamo, della natura che ci circonda, delle nostre radici e del futuro. La fiducia, il rispetto, la devozione e la lealtà passano attraverso le anelle d’oro dell’opera maestosa che accoglie all’ingresso della sala principale. “Umbelical Cord of Life”, il cordone ombelicale della vita, realizzato con stampa in 3D e che scivola giù dal soffitto per adagiarsi sul pavimento inanellando una spirale sospesa tra il cerchio della vita e la morte. L’ispirazione nasce da una collana della nonna di Vuslat; tornano così le radici, l’origine del tutto, il movimento e la ricongiunzione tra storia e futuro, passato e contemporaneità. “L’arte dà coraggio e rimette i sensi in connessione, ispira la meditazione e pone degli interrogativi”, Vuslat si muove tra le stanze del museo attraversando un anno di lavoro tra questa regione, dove ha recuperato terra e rocce per ottenere i pigmenti da elaborare nel suo studio di Istanbul e poi porre su tela in quello di New York, lontano da tutto per ripartire da zero. L’arte è il punto di partenza per ricevere con i sensi ed esprimere con le idee, ma è la Fondazione Vuslat il luogo in cui trasformare queste suggestioni in risposte concrete per prendersi davvero cura di ciò che ci è stato affidato. Così Vuslat Sabanci chiude il cerchio del suo Emanet, esplorandone la vera anima.