Una magia di centottanta minuti: applausi per Lino Guanciale in ‘Ho paura TORERO’

MilanoTeatro

(di Marta Cantarella)

Un Lino Guanciale sommerso da uno scroscio di applausi, questa l’ultima immagine con cui ho suggellato l’ennesima serata degna di memoria – e di scrittura – al Piccolo Teatro Grassi di Milano. Ad inscenare una magia della durata di centottanta minuti è stato ‘Ho paura TORERO’.

Una trasposizione teatrale che si origina dal romanzo, opera unica in questo genere per il suo autore, lo scrittore cileno Pedro Lemebel, capace di mantenere inalterata la carica rivoluzionaria della storia d’amore, fil rouge di una trama che abbraccia politica, rivoluzioni sociali, educazione sentimentale e sessuale con un registro capace di mantenere il pubblico sempre vigile, acceso, in una parola, assorto.

A trasformare la finzione romanzesca nella rappresentazione di verosimiglianza che solo il teatro riesce a restituire ci ha pensato Claudio Longhi, regista e direttore del Piccolo Teatro che, in una intervista rilasciata alla fine del 2023 ( lo spettacolo aveva debuttato a gennaio 2024 facendo registrare fin da subito il tutto esaurito) aveva tributato il merito di aver scelto un’opera così coraggiosa all’amico e attore Lino Guanciale, il primo ad essersi innamorato della dolcezza malinconica della “Fata dell’angolo” protagonista di un amore delicato quanto appassionato, tanto platonico quanto sensuale nei confronti dello studente Carlos. Questo sentimento impossibile si dipana in uno scenario di moti rivoluzionari, quelli degli oppositori del dittatore Pinochet e della sua irriverente moglie – tra i personaggi più apprezzati dal pubblico – che infiammarono il Cile poco dopo la metà degli anni ’80.

Un incontro, quello tra la Fata e Carlos, che porterà la prima a ricollegarsi con la realtà politica e sociale del suo tempo dalla quale sembrava essere riuscita ad estraniarsi fino a quel momento grazie all’ausilio di una radio costantemente sintonizzata su programmi e canzoni romantiche ed il secondo a scoprire quella che forse è una nuova identità sessuale, confrontandosi per la prima volta con ricordi del passato talmente ingombranti da sembrare degli incubi e ponendo, finalmente, il problema del rapporto con l’affettività.

E a chi ha espresso qualche perplessità sulla durata dello spettacolo è lo stesso Lino Guanciale a dare una risposta che, già da sola – a mio parere – vale l’intero spettacolo: “Ridurre Ho paura Torero ai soli dialoghi tra personaggi avrebbe l’effetto di una bella epopea ‘telenovelesca’ sudamericana. La forza della scrittura di Lemebel sta in quell’altrove, che conferisce forza, spessore e verità alle interlocuzioni tra i personaggi, molto semplici ma assai pregne”.

La scrittura, ancora una volta. Quella che grazie alle sue sfumature parla un unico linguaggio universale.

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