Rivoluzione Fiorucci, quando tutto era possibile
(di Maria Elena Molteni)
La mostra Elio Fiorucci, che si è conclusa domenica 16 marzo 2025, non è stata solo una retrospettiva su un’icona della moda italiana, ma una vera e propria macchina del tempo che ha riportato molti di noi a quegli anni in cui la moda non era solo un vestito, ma un messaggio, una rivoluzione, una dichiarazione di libertà. Con oltre 52.000 visitatori e un successo che ha superato ogni previsione, l’esposizione, curata da Judith Clark e progettata da Fabio Cherstich, ha saputo catturare l’essenza di un uomo che ha cambiato per sempre il nostro modo di pensare la moda e la cultura giovanile.
Mi ritrovo a pensare a quanto quelle atmosfere colorate, vivaci, spesso irriverenti, siano state parte integrante di tante generazioni. Anche la mia che, pur non avando vissuto il pieno del fenomeno Fiorucci, ha avuto la fortuna di viverne gli ultimi scampoli. Eppure, basta poco per ricordare quella scia che Fiorucci ha lasciato nella città di Milano e non solo, e che ha segnato un’epoca indimenticabile. Non c’erano solo jeans, magliette e bomber, c’era un’idea di esistenza diversa, che mescolava creatività, inclusività e una voglia di “essere diversi” e di scegliere chi si poteva essere.
In un’era dove la moda era ancora molto più legata a un concetto elitario, Fiorucci ha abbattuto le barriere e creato un’immagine che parlava direttamente al cuore dei giovani, una generazione che, tra il fine degli anni ’60 e gli anni ’70, stava cercando di liberarsi delle convenzioni. La sua boutique di Milano diventò la mecca della moda giovane e innovativa, simbolo di una Milano in fermento che non voleva accontentarsi, ma viaggiava con i sogni.

Elio Fiorucci Foto Delfino Sisto Legnani DSL Studio © Triennale Milano
Era impossibile non notare quelle vetrine piene di colori sgargianti, di vestiti che sfidavano le regole del buon gusto, eppure riuscivano a sembrare sempre irresistibili. Fiorucci non vendeva solo abiti, ma un’idea di vita, un inno alla libertà individuale e alla sperimentazione senza limiti. Lì, in quegli anni, la moda divenne un linguaggio.
Mi chiedo, guardando la mostra, quanta parte di quella rivoluzione sia stata davvero compresa e apprezzata da chi non ha avuto la fortuna di viverla in prima persona. Ma, fortunatamente, oggi Elio Fiorucci è di nuovo sotto i riflettori. Non solo per chi ha vissuto quegli anni ma anche per chi, come i più giovani, si trova a scoprire l’energia e la freschezza di una visione. Quello che Fiorucci ha creato è un patrimonio che, come sottolineato anche da Stefano Boeri e Carla Morogallo, presidente e direttore generale di Triennale Milano, non poteva rimanere nell’ombra, soprattutto nella città che ha visto nascere il suo fenomeno.
È bello pensare che, a distanza di anni, quel mondo colorato, pop, ed estremamente originale non solo non sia andato perduto, ma abbia addirittura preso nuova vita, affascinando ancora generazioni diverse. Le oltre 52.000 persone che hanno visitato la mostra sono la testimonianza che Fiorucci, nonostante la sua morte nel 2022, resta un faro di creatività, un esempio di come la moda possa diventare più di una tendenza passeggera: un’espressione di chi siamo, di come ci vediamo e di come vogliamo essere visti.
Fiorucci non è solo un capitolo del passato, la sua visione continua a ispirare anche i giorni nostri. Mentre il mondo cambia, l’urgenza di essere creativi e liberi è più che mai attuale.