Martino Midali e le sue ‘donne vere’ / INTERVISTA
Martino Midali, stilista lodigiano naturalizzato milanese, racconta a Il Mohicano i suoi (più di) 40 anni di stile al servizio di una femminilità reale e inclusiva.
(Di Ursula Beretta)
Oltre 40 anni di stile e non sentirli. Martino Midali, milanese d’adozione – certificato, anche, dall’Ambrogino d’Oro ricevuto nel 2022-, racconta a Il Mohicano la sua storia d’amore con la moda e con la città che l’ha accolto e che non ha mai smesso di amare. Esattamente come quelle donne per le quali ha dato forma alla sua rivoluzionaria idea di eleganza, libera dalle costrizioni e sempre perfetta, racchiusa in collezioni inclusive e democratiche, disegnate come un manifesto sulle donne e per le donne. Reali. Di ogni età e di ogni fisicità. Orgogliose di esserlo anche grazie a quei capi belli e innovativi, che seguono le tendenze senza mai snaturare il loro riconoscibile dna. Quello di Martino Midali, che si prepara ad altri successi rimanendo, come dice lui, con i piedi ben piantati per terra in quella Milano dalla quale non si è mai allontanato troppo.
Pur essendo originario di Lodi, è a Milano che lei ha trovato la sua dimensione. Come la città e le sue origini lombarde hanno influenzato (e influenzano ancora oggi) la sua moda?
Pur avendo viaggiato molto ed essendomi fatto suggestionare dai Paesi che ho visitato, la cultura lombarda-milanese ha avuto un’influenza molto forte su di me. La mia regione, il suo territorio, la città che mi ha accolto e che mi ha dato tanto, rimangono fondamentali nella mia visione. Del resto, la cultura padana è fortemente radicata in me, mi appartiene per dna: la mia famiglia è lombarda da generazioni, proprietaria di una piccola azienda agricola dove sono cresciuto e in cui ho imparato a tenere i piedi ben piantati per terra e a orientare la mia mentalità al costruire. Il mio sogno, però, era quello di trovare in città qualcosa in cui potessi esprimere la mia personalità più liberamente, un lavoro nuovo e diverso rispetto a quello dei miei genitori…
Ha cominciato disegnando t-shirt ispirate alla pop art per poi creare un vero e proprio pret à porter: ci racconta com’è stata la sua evoluzione e com’è nata in lei la passione per la moda?
Sono sempre stata una persona molto creativa ed ero alla ricerca di un lavoro in cui la mia sensibilità artistica si potesse rispecchiare. Fin da piccolo, negli anni ‘70, andavo da uno straccivendolo del mio paese che portava, da Livorno, delle “balle” di vestiti provenienti dall’America dalle quali tiravo fuori camicie da notte piene di pizzi e di merletti che tingevo e rivendevo poi alle mie amiche, sia per sperimentare la mia creatività che per poter ricavare i soldi con i quali comprare ciò che era di tendenza in quegli anni (come le scarpe Barrow). Poi è successo che mi sono innamorato della cultura pop americana, dei sogni della New Generation, della loro sete di libertà e, in particolare, della visione di Andy Wharol a cui mi sono ispirato per disegnare quelle mie t -shirt da cui ha preso avvio la mia storia. Una delle prime, quella con Rod Stewart con i dettagli fluo e il rossetto in mano, era una vera e propria provocazione che si rifaceva anche alle icone di quegli anni -David Bowie ma anche il nostro Renato Zero – ed ebbe un grande successo perché era in linea con la moda scanzonata degli anni 80. Poi mi sono dedicato alle felpe, un altro basico diventato fondamentale nel guardaroba, per passare al jersey, ai pantaloni e alle gonne con l’elastico in vita… e tutti mi prendevano per matto: ci ho messo quasi cinque anni prima che si accorgessero della portata rivoluzionaria di quello che creavo e che i negozi si convincessero ad acquistarlo! Però ho sempre avuto un unico, grande obiettivo: accompagnare l’evoluzione della donna contemporanea che voleva realizzarsi nel lavoro ma che, al contempo, desiderava essere comoda ed elegante con quello che indossava.
Ci racconta com’era la città che l’ha accolto negli anni’ 80?
Ho visto Milano crescere e trasformarsi da capoluogo di provincia a capitale indiscussa del fashion, una città in cui ho mosso i miei primi, irriverenti passi a causa dei quali tutti mi davano del visionario e del pazzo perché erano convinti che nessuno avrebbe mai indossato dei calzoni con la vita che si allargava e si stringeva come se fossero pantaloni di una tuta…e invece…La Milano in cui ho vissuto io era proprio la leggendaria Milano da bere, strettamente collegata a New York e all’atmosfera americana grazie a personaggi come Elio Fiorucci che avevano creato un ponte tra le due città e che l’avevano resa una delle protagoniste del circuito internazionale della moda e non solo.
Che cosa ha portato lei di diverso nella moda milanese di allora?
Sicuramente ho portato il jersey su cui ho costruito la mia storia, partendo dalle t-shirt e poi adoperandolo per abiti e pantaloni fino a creare un total look. Che subito non venne apprezzato tanto che, al netto delle vendite, i negozi più chic di Milano impiegarono anni prima di metterlo in vetrina! Il jersey era ed è per me l’essenza della libertà femminile grazie alla sua “non- forma” che ogni donna può interpretare alla sua maniera. E infatti il grande successo è proprio arrivato dalle maglie che avevo creato, naturalmente usando il jersey, che terminavamo con due lunghe code che si potevano avvolgere intorno al corpo e davano vita a look inediti, in linea con la personalità di chi li indossava.
Lei ha ricevuto nel 2022 l’Ambrogino d’oro: cosa ha significato questo riconoscimento?
L’Ambrogino d’Oro è un riconoscimento molto ambito per i milanesi ed è stato lo stesso anche per me che, milanese di adozione, ho visto la città cambiare sotto i miei occhi e trasformarsi. Il mio legame con Milano però non si esaurisce con la moda ma si è espresso anche in azioni concrete volte ad agire su aspetti sociali importanti, come ad esempio il progetto di riqualificazione artistica del quartiere Ortica o il supporto accordato alla cascina Carpana per aiutare le donne in difficoltà.
Qual è il suo legame con Milano e com’è cambiato nel tempo?
Milano è la città che mi ha permesso di realizzare i miei sogni ed è al contempo un motore importantissimo per l’Italia. Milano, poi, è diventata per me ancora più importante dopo l’11 settembre che mi vide costretto a chiudere i miei tre negozi newyorkesi e mi ha accolto ridandomi fiato e permettendomi di concentrarmi sulla mia crescita in Italia. Milano è una città che mi appartiene in ogni senso, non penso che potrei vivere senza perché mi ha dato tanto, tantissimo: sono felice di abitarla, di viverla, di lavorarci e di continuare ad amarla follemente.
Ha celebrato più di 40 anni del suo marchio: come si sente ad avere raggiunto questo traguardo?
Oltre quarant’anni di lavoro sono davvero un bel traguardo ricco di soddisfazioni: da che sono giovane lavoro con l’obiettivo di realizzare qualcosa che mi piaccia davvero e che mi soddisfi rendendo felici contemporaneamente le donne per le quali creo. Sono orgoglioso di questo mio percorso che considero in continua evoluzione ancora oggi, sempre pronto ad accogliere quello che mi riserverà il domani! A volte non mi sembra nemmeno possibile che siano già trascorsi 40 anni, che mi sono divertito a interpretare con la mia moda, un qualcosa che è veramente parte di me e che sono grato di poter continuare a fare. E di farlo qui, in una città che mi fa sempre vivere il gusto della contemporaneità. Penso che la mia moda, dopo tutti questi anni, abbia continuamente bisogno di vivere lo spirito del tempo, quell’attualità di cui Milano è la perfetta portavoce.
In tutto questo tempo lei ha aiutato le donne a emanciparsi anche con i vestiti: dai pantaloni con l’elastico in vita ai total look in jersey facili da indossare fino alla predilezione per una vestibilità che fosse perfetta per tutte. Ci racconta da cosa ha preso vita questa sua “missione”?
Dalla storia direi! Quando ho cominciato a lavorare, le ragazze e le donne si battevano per realizzare l’uguaglianza, per realizzarsi professionalmente e nella famiglia. E io ho dato loro i capi per farlo. Ho regalato alle donne la libertà di muoversi con agio. Di sentirsi bene con quello che indossavano da quando uscivano la mattina fino alla sera. Grazie al jersey e alla sua carica rivoluzionaria, ho dato ai miei capi quella praticità e quel comfort che racchiudeva la mia idea di eleganza soddisfacendo al contempo il bisogno di praticità delle nuove donne che quei vestiti potevano lavarli in lavatrice senza bisogno di stirarli o di portarli in tintoria. Mi piace così pensare di avere accompagnato le donne nel loro cambiamento con i miei “cavalli di battaglia” – i pantaloni e le gonne con l’elastico in vita, la maglia lunga a scatoletta, le righe, i colori, gli abiti a uovo – che sono stati pensati proprio per loro.
Qual è, a suo avviso, il segreto del suo successo?
Penso di poter dire, serenamente, che il segreto del mio successo sia stato di avere creato una moda democratica, capace di rispondere a tutte le donne, di tutte le età, stile, taglia e livello culturale. Una moda inclusiva, in poche parole, ancora prima che questo termine diventasse di tendenza.
Lei crea per una donna dalla forte personalità, che vuole essere comoda ed elegante in ogni momento della giornata: perché ha scelto questo stile?
Anche in questo mi ha ispirato la città di Milano in quel periodo storico a cavallo tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 in cui le donne erano finalmente protagoniste e volevano imporsi nella società non solo con il ruolo che avevano nella famiglia ma anche professionalmente. E per farlo necessitavano anche del supporto di vestiti che rispondessero a quel loro bisogno di dinamismo che le vedeva in pista dalla mattina alla sera e che doveva necessariamente farle sentire bene. Un po’ come già succedeva in America…
Qual è stato, a suo avviso, l’apporto che ha dato alla moda contemporanea?
Sicuramente la mia idea di femminilità con capi comodi sempre, che non si sgualciscono e che vengono indossati da qualsiasi fisicità ma che allo stesso tempo rimangono eleganti ed essenziali. E soddisfano ogni esigenza. Ho scoperto il potere della maglia e del jersey, con cui creare tanti modelli diversi fino a costruire total look pratici ma non per questo meno belli. E poi, proprio per venire incontro a una femminilità non stereotipata e che andava vestita senza essere mortificata, ho decostruito l’anatomia del corpo femminile inserendo l’elastico in vita nei pantaloni come nelle gonne, alla maniera delle tute da ginnastica: i buyer erano perplessi, i miei colleghi mi prendevano per matto ma io avevo dato vita a capi capaci di essere adattati e interpretati da ogni donna. Un’innovazione che procede anche oggi grazie a un nuovo tessuto tecnico, pratico e ingualcibile, che mi ha permesso di creare capi costruiti sartorialmente – i blazer come i pantaloni – che non hanno bisogno né di tintoria né di essere stirati e sono sempre perfetti. Un’altra piccola rivoluzione che le mie clienti hanno subito apprezzato e da cui sono rimaste conquistate.
Come continua a rinnovarsi, dopo tutto questo tempo, il suo stile?
Mi piace dire che io non vendo un abito ma una forma da indossare e da interpretare nella quale le donne si riconoscono. Dopo più di 40 anni sento ancora molto forte questa mia missione: quando ami il tuo lavoro è facile trovare continuamente cose che ti ispirano e, oggi come ieri, ho la medesima passione per una moda che rispetta l’individualità di ogni donna e il tessuto sociale nella quale è immersa.
Le donne prima di tutto: lei ha vestito quelle celebri – da Barbra Streisand a Woophi Goldberg passando per Mariangela Melato e Stefania Sandrelli- e donne normali…
E, aggiungo, Paola Cortellesi, che qualche settimana fa ha fatto shopping nel mio negozio romano e la cosa mi rende molto orgoglioso, pensando al tipo di donna che rappresenta e a quello che ha fatto con il suo film. Le mie clienti sono donne normali, indipendentemente dal fatto che siano più o meno celebri. È questa la mia filosofia democratica che si basa su uno stile pensato per tutte le donne, di tutte le età e di tutte le taglie!
Com’è cambiata la Milano della moda negli ultimi anni?
Milano è una città sempre in movimento dove le donne, per fortuna, acquistano sempre più spazio e hanno bisogno di confrontarsi con una società che va veloce. È una città molto cambiata rispetto ai miei inizi ma è giusto che sia così.
Perché ha deciso di riprendere a fare le sfilate dopo tanti anni?
Dopo aver fatto per tanti anni le sfilate, mi sono trovato a un certo punto a non riconoscermi in passerelle che cercavano solo la spettacolarizzazione e che non mi permettevano di mostrare la mia idea di moda VERA e REALE. Volevo che fossero donne normali a sfilare, le stesse che sceglievano ogni giorno i miei vestiti e quando si è recuperata questa autenticità anche in sfilata, ho deciso di ricominciare per continuare a mostrare quello che sono veramente. Questo è il senso ultimo degli show che porto in giro per l’Italia in mezzo alla gente, per poter fare vedere la mia moda dedicata a tutte le donne di tutte le taglie e di tutte le età.