De Chirico e Ferri a Palazzo Pallavicini (Bologna): oltre metafisica, barocco e altre definizioni
(di Valentina Righi)
Fino al 12 marzo 2023, Palazzo Pallavicini (Bologna) ospita due esposizioni dirompenti, innovative ed emozionanti, prodotte e organizzate da Pallavicini di Chiara Campagnoli, Deborah Petroni e Rubens Fogacci. La mostra ‘De Chirico e l’oltre. Dalla stagione ‘barocca’ alla neometafisica (1938-1978)’ a cura di presenta un prestigioso corpus di opere del padre della metafisica nelle sue stagioni più sconosciute.
La prima, definita ‘barocca’, si sviluppa dal 1938 al 1968, quando de Chirico (nato in Grecia, vissuto a lungo a Parigi e tornato in Italia nel 1939) si ispira a Rubens e ai grandi maestri del calibro di Dürer, Raffaello e Delacroix. Le sue opere, che non sono realiste, vogliono creare un mondo ideale e irreale, una finzione più vera del vero: “noi amiamo il non vero”, e ancora “la realtà non può esistere nella pittura perché in generale non esiste sulla terra”, scrive lo stesso de Chirico. Le opere “barocche” dietro il loro apparente naturalismo sono ancora meta-fisiche (lett. “al di là della natura”), rappresentano una natura che in natura non esiste.
In mostra sono presenti una serie di importanti autoritratti, che rivelano il suo rifiuto per i dogmi del Novecento, dichiarandolo il primo artista post-moderno. Sono esposte anche altre opere fondamentali della stagione “barocca”, come Natura morta ariostesca, 1940; La pattinatrice, 1940 (il ritratto della moglie Isabella come allegoria dell’inverno); la terracotta Bucefalo, 1940 (uno dei primi esempi di de Chirico scultore)
Il percorso espositivo continua con “la stagione neometafisica” relativa al decennio 1968-78, in cui de Chirico ritorna a dipingere gli emblematici manichini, le Piazze d’Italia e altri enigmi, con nuove elaborazioni e invenzioni. È evidente un mutamento di motivi e di significato rispetto alla visione nichilista degli anni Dieci. Ha detto de Chirico: «Da alcuni anni dipingo soggetti che sono, direi, come una evoluzione di visioni, apparenze e sensi reconditi di quei soggetti che ho eseguiti prima, per molti anni […] .
E cosi’ il pittore ancora una volta va oltre e supera i suoi stessi schemi, reinterpretando con ironia e in forme più serene i temi del passato che si arricchiscono di colori più accesi, di un’accentuata ironia e di toni giocosi, anche se non manca qualche malinconia. Alla pittura pastosa della stagione “barocca”, ne sostituisce una fondata sul disegno e sulla costruzione nitida delle forme: imperdibili Ettore e Andromaca, 1970; Il sole sul cavalletto, 1973; Le muse inquietanti, 1974; Visione metafisica di New York, 1975.
Va impetuosamente oltre gli schemi anche la mostra dedicata a Roberto Ferri. Classe 1978, l’artista tarantino le cui opere hanno invaso la cinematografia contemporanea – ricordiamo apparizioni dei suoi quadri in “Sangue del mio sangue” di Marco Bellocchio e in Gomorra – si ispira a Caravaggio e interseca indissolubilmente amore, morte ed erotismo in 60 oli su tela e disegni che rendono intenso e indimenticabile il percorso all’interno di prestigiose sale di Palazzo Pallavicini – aperte al pubblico in rare occasioni e questa e’ un’ulteriore motivazione per visitare le due esibizioni -.
Una poetica visiva tra sacro e profano, capace di trasporre nelle tele puntuali richiami alla grande arte del passato e di modificarne la natura più profonda con sentire visionario e onirico, Ferri sposa un estremo realismo con un puro simbolismo, generando incanto per l’animo e per lo sguardo. Tra i dipinti esposti compaiono splendide allegorie delle pulsioni umane e trasposizioni sacre delle tensioni dello spirito: nuovamente Ferri attraverso la sensualità e la plasticità del corpo mette in luce le verità più profonde dell’anima dell’uomo e la sua continua e ininterrotta ricerca di senso. La meraviglia si sprigiona da opere di grandi dimensioni come “Le delizie infrante”, elaborata messa in scena di un conflitto interiore. Tra la penombra e il silenzio le figure sembrano riproporre un dialogo muto e cadenzato, il cui battito interno sembra riproporre il più antico ritmo vitale dell’uomo: il cardine della ricerca di Roberto Ferri si rivela essere la vita, in tutte le sue infinite e più misteriose sfumature. Dalle sue parole: “Vedere non é semplicemente guardare. Si deve guardare e vedere. Vedere dentro e intorno. Dipingere significa amare ancora”.