(di Daniele Rossignoli)
“Sono ad un giro di boa molto importante. In questi quarant’anni ho fatto molte esperienze in Italia, in Inghilterra e negli Stati Uniti, sono vicino ai venti album prodotti. Celebro quindi questo quarantesimo anniversario con un progetto nutrito, con due cd un dvd e un libro di quasi settanta pagine, con più di duecento foto, basato sul concerto tenuto questa estate al Castello Sforzesco di Milano, ultimo dei quasi duemila che ho fatto in tutti questi anni”. E’ il 1979 quando il giovane Alberto Fortis irrompe nella scena musicale italiana con un album omonimo, che contiene due brani particolarmente incisivi quali ‘Milano e Vincenzo’ e ‘Voi romani’, brano, quest’ultimo, che lo espose a numerose critiche soprattutto da parte dei cittadini di Roma ma che in realtà era una aperta critica al sistema politico di allora che identificava nella capitale il suo centro nevralgico.
“Si trattava -ricorda Alberto Fortis a IlMohicano– di una canzone che contestava un mal costume politico comune. Sapevo che sarei stato criticato per quel brano perchè le parole erano veramente forti, ma non volgari -sottolinea- ma la cosa che mi aveva veramente sorpreso era stato vedere come i miei coetanei di allora non avessero voluto capire quello che era il mio obbiettivo vero. L’album conteneva anche canzoni di estrema poesia corale, come ad esempio ‘La sedia di lillà’, ‘Il Duomo di notte’, ‘L’amicizia’ e invece giudicarmi, come si fa spesso nella vita, prendendo solo quel brano per mettere in croce un artista. Certo poteva essere forte sentire una canzone cosi -osserva Fortis- era anche comprensibile perchè da una parte c’era la discografia e dall’altra la politica. Io non avevo nulla contro i romani in particolare ma si preferiva, come sempre, metter la testa sotto la sabbia, essere un po’ faziosi e quindi far finta di niente anche se un problema c’era ed era evidente .Questo mi ha sempre dato fastidio perché ritengo che, se moltiplicato per migliaia di casi, si finisca per rallentare la situazione sociale”.
Nonostante questo, Alberto Fortis non ha smesso di essere ottimista: “Lo sono sempre stato -sottolinea- ottimista e provocatore. Ho cercato e continuo a farlo con la mia musica, parlare di determinati argomenti e non fare come le tre scimmiette. Forse però gli anni e l’esperienza della vita mi hanno insegnato che è sempre meglio nei contrasti partire dalla legge dell’armonia e cioè cerare in qualche modo di far convivere le cose e di far apprezzare il contrario proprio perché una cosa esiste grazie al suo contrario”. E ottimista, Fortis lo è anche nei confronti del futuro della musica anche se, confessa “non mi piacciono certe volgarità. Il mainstreaming che si ascolta oggi è più trap che rap, ma mi auguro che il contrappello si faccia sentire sempre di più e presto. Pur amando degli artisti trap, alcuni anche con molto sale sale in zucca, per il resto l’onda ideologica sociale artistica non mi sembra stia esprimendo qualcosa di sostanziale. Qualsiasi forma d’arte vive i suoi momenti di moda, lo sappiamo, io penso e spero che si sia alla vigilia di un certo rinascimento moderno, attuale, ma anche politico e sostanziale, nel senso vero del nome dell’arte”.
Quello che sta mancando, secondo Fortis “è un po’ il senso collettivo di quella mission che l’arte vera, in questo caso l’arte musica, ha sempre avuto. Non mi piace la nostalgia, sono stato io stesso un contestatore, forse anche un precursore, ma continuo a dire che poi, alla fine, la sostanza è la cosa che rimane nel tempo. Se pensiamo a ciò che ci viene dalla musica di artisti come Prince, come Bob Dylan, Stevie Wonder o gli stessi Coldplay di oggi, hanno una forza di espressione di ciò che la musica deve anche rappresentare e non una rappresentazione volgare fine a se stessa che trovo non sia né protesta né proposta e neppure sostanza. Il mio desiderio è che ci siano, e ci sono, tantissimi ragazzi, giovani che oltre ai milioni di follower che decretano determinate cose, riescano a nutrire tutto ciò che stiamo assistendo con un po’ più senso della bellezza perché nell’arte -conclude- se non c’è la bellezza nel tempo poi non rimane nulla”.